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Alessandro Manzoni
I Promessi sposi, storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Edizione riveduta dall’autore — Storia della colonna infame inedita
Tredici anni dopo la pubblicazione dell’edizione originale dei Promessi sposi — la cosiddetta «Ventisettana» — Alessandro Manzoni è pronto a dare alle stampe una nuova edizione del suo capolavoro: profondamente rivista e aumentata, uscì a dispense tra il 1840 e il 1842, e prese conseguentemente il nome di «Quarantana». È l’edizione definitiva del più importante romanzo italiano dell’Ottocento.
L’autore introdusse tre novità fondamentali: in primo luogo, eliminò tutti i tratti linguistici e lessicali riconducibili alla Lombardia, di cui la Ventisettana abbondava (la celebre «risciacquatura dei panni in Arno»). Poi, non meno importante, decise di dare alle stampe un’edizione riccamente illustrata. Infine, pubblicò in appendice la Storia della Colonna infame, quasi a suggello di tutte le vicende narrate nel romanzo, e in particolare degli episodi relativi alla peste del 1630.
La Quarantana è l’edizione definitiva del più importante romanzo italiano dell’Ottocento. Nelle intenzioni dell’autore, la pubblicazione dell’opera andava a configurarsi come una grande impresa editoriale.
Nelle intenzioni di Manzoni l’uscita della Quarantana andava dunque a configurarsi come una grande impresa editoriale: decise pertanto di affidare la stampa alla ditta di Vincenzo Guglielmini e Giuseppe Redaelli, al tempo proprietari dell’officina tipografica privata più grande di Milano. Il contratto fu firmato il 13 giugno 1840.
Manzoni decise di stampare l’edizione a dispense, seguendo una consuetudine ormai molto diffusa in Europa. Ogni quindici giorni sarebbe apparso un fascicolo di 16 pagine composto da due dispense, ciascuna venduta al prezzo di 40 lire. Era un modo per sostenere le spese di stampa in corso d’opera, e rendere la vita difficile alle edizioni pirata o contraffatte, che, fiorite numerosissime dopo la pubblicazione della Ventisettana, avevano procurato notevoli danni economici all’autore.
La realizzazione delle xilografie fu affidata a un team di incisori di primo piano. E fu necessario importare anche tutta la strumentazione per l’impressione, compreso il torchio Stanhope, con un torcoliere esperto in grado di maneggiarlo.
La tiratura era stata programmata inizialmente in 5000 esemplari, ma ben presto Manzoni decise di raddoppiarla, per tentare di far fronte alle spese ingentissime. La scelta, però, fu disastrosa: nonostante il numero molto alto di sottoscrittori, ben 4600, alla fine della stampa rimasero nei magazzini, invendute, più di 5000 copie della Quarantana. Un ritmo di produzione che prevedeva l’impressione, ogni quindici giorni, di un così alto numero di pagine, e per giunta illustrate, sarebbe stato impensabile con l’impiego del torchio di legno.
Manzoni decise dunque, nonostante le ingentissime spese richieste, di utilizzare per la prima volta in Italia i cosiddetti torchi alla Stanhope, macchine interamente costruite in metallo, che nel resto d’Europa stavano rivoluzionando il sistema di produzione del libro: l’abbandono del legno consentiva infatti di realizzare macchine di grandi dimensioni, aumentando notevolmente il numero di fogli stampati. Non solo: i torchi Stanhope si rivelavano anche di grande efficacia nella stampa di xilografie e, dunque, particolarmente adatti alla realizzazione di edizioni illustrate. E così, grazie all’impiego di un torchio grande e all’utilizzo della tecnica dell’imposizione a mezzo foglio, la ditta Guglielmini Redaelli riuscì a rispettare le consegne contrattuali (per ogni approfondimento, si rimanda senz’altro a Fahy, pp. 383-5).
Manzoni decise di dare vita a un apparato iconografico così imponente per due ragioni fondamentali: da una parte, perché affascinato dalle magnifiche edizioni illustrate che sempre più frequentemente fiorivano in Francia. Dall’altra, perché la presenza delle illustrazioni costituiva un ulteriore valido strumento per difendersi dalla pirateria editoriale.
L’autore assunse fin da subito il ruolo di unico “regista” dello svolgimento scenico dei fatti illustrati. Una testimonianza preziossima del suo modus operandi è costituita da un quadernetto manoscritto di 55 fogli (oggi conservato presso il Fondo manzoniano della Biblioteca nazionale Braidense di Milano) in cui sono contenute tutte le istruzioni che l’autore forniva agli artisti: con meticolosa precisione, Manzoni indicò i passi da illustrare, i soggetti da ritrarre, i dettagli degli sfondi e il taglio delle “inquadrature”, la dimensione delle vignette e addirittura la loro posizione sulla pagina. Non da ultimo, l’autore invitò caldamente gli illustratori a documentarsi filologicamente sui paesaggi, gli scorci urbani e i costumi degli abitanti della Lombardia del XVII secolo, spingendoli a consultare con cura i repertori illustrati del tempo.
Manzoni assunse fin da subito il ruolo di unico “regista” dello svolgimento scenico dei fatti illustrati. Alla fine del lavoro, la soddisfazione di Manzoni fu tale che arrivò a definire Gonin «ammirabile traduttore» della sua opera.
Per la realizzazione del complesso apparato iconografico, Manzoni si rivolse in prima battuta al celebre pittore Francesco Hayez, che negli anni precedenti aveva illustrato I Lombardi alla prima crociata di Tommaso Grossi e l’Ivanhoe di Walter Scott. E tuttavia, gli esiti delle prime prove furono talmente deludenti che lo stesso Hayez decise di ritirarsi dall’impresa. Dopo aver sondato la disponibilità di altri disegnatori, che declinarono l’offerta intimoriti dalle dimensioni del lavoro, Manzoni decise di coinvolgere un giovane torinese amico di famiglia: Francesco Gonin. Disegnatore eclettico, capace di spaziare dai ritratti di personaggi alle vedute, fino agli scorci urbani più animati, fu lui a realizzare la maggior parte delle oltre 400 vignette che corredano il testo; solo in pochi casi, intervennero le mani di altri disegnatori da lui diretti: si trattava di Paolo Riccardi, Giuseppe Sogni, Luigi Riccardi, Luigi Bisi e Federico Moja. Alla fine del lavoro, la soddisfazione di Manzoni fu tale che arrivò a definire Gonin «ammirabile traduttore» della sua opera.
La realizzazione delle immagini fu affidata a un team di incisori di primo piano, fatti arrivare dall’estero per l’occasione: i francesi Berndard, Pollet e Loyseau, e l’inglese Sheers. E fu necessario importare anche tutta la strumentazione per l’impressione, compreso il torchio Stanhope con un torcoliere esperto in grado di maneggiarlo. Ebbe a dire, non senza una punta di ironia, la seconda moglie di Manzoni, Teresa Stampa:
È vero che tutto sarà stato fatto venire da Parigi quanto al materiale, carta, matrici di caratteri, torchio, macchina per “glacer” la carta, inchiostro, incisori, e torcolieri; ma sarà sempre che Gonin avrà fatto i disegni, e Alessandro il libro; e non ci sarà da dire; la parte spirituale sarà tutta italiana.
Le operazioni di impressione si svolsero sotto la guida del pavese Luigi Sacchi, ingaggiato da Manzoni in virtù della grande esperienza maturata nell’illustrazione dei giornali, e al quale fu affidato anche il compito di “mediatore” tra gli illustratori e gli incisori: furono numerosi i casi in cui Sacchi dovette ritoccare le vignette prima che venissero intagliate, per far fronte alle modifiche sul testo che l’autore continuamente introduceva durante la correzione delle bozze.
Vale la pena qui ricordare che Manzoni decise di sfruttare quanto più possibile l’enorme macchina organizzativa da lui predisposta, anche per cercare di recuperare le spese sostenute: lo stesso team di illustratori e di incisori, così come le stesse macchine, fu da lui impiegato per allestire la splendida edizione illustrata delle Poesie di Carlo Porta, uscita sempre per Gugliemini - Redaelli nel 1842, copia “gemella” della Quarantana (per i dettagli rimandiamo senz’altro al nostro catalogo Carlo Porta, scheda n. 27).
La critica è pressoché concorde nel considerare la Storia della colonna infame come l’ultimo capitolo effettivo dei Promessi sposi. Alla stessa maniera doveva pensarla Manzoni, dal momento che nella Quarantana la parola “FINE” appare, stampata in grande, solo dopo la Storia.
Veniamo infine alla Storia della colonna infame, che compare qui in edizione originale. Il saggio descrive il malgoverno lombardo ai tempi della peste del 1630, esemplificato dal processo intentato contro i supposti “untori” Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora. Oltre alle cronache del tempo, e alle trascrizioni delle deposizioni di alcuni indagati, la fonte principale di Manzoni furono le Osservazioni contro la tortura (1804) del celebre pensatore illuminista Pietro Verri, che a sostegno della sua ferma opposizione alla tortura aveva portato proprio i fatti del 1630. Una prima stesura della Colonna infame risale al 1823, quando Manzoni era alle prese con il Fermo e Lucia e aveva tentato di inserire nel romanzo un capitolo interamente dedicato ai processi agli untori: resosi presto conto che il lavoro richiedeva molto più spazio, redasse un testo autonomo intitolato Appendice storica sulla colonna infame. Come noto, però, il Fermo e Lucia non fu pubblicato. E nemmeno nella Ventisettana trovò posto l’approfondimento sui processi, nonostante la presenza di un riferimento a un «altro testo» dedicato all’argomento.
Bisognerà attendere dunque fino al 1842 — fino alla Quarantana — per poter leggere il complemento storico, che nel frattempo aveva mutato titolo in Storia della colonna infame. L’eliminazione della parola “appendice” non è secondario: ormai la critica è pressoché concorde nel considerare la Storia come l’ultimo capitolo effettivo dei Promessi sposi; e allo stesso modo doveva intenderlo Manzoni: nella Quarantana la parola “fine”, stampata in grande, appare solo al termine di essa. Nonostante questo, per un secolo esatto la Colonna infame fu considerata un lavoro minore, per nulla tenuta in considerazione e anzi aspramente condannata dallo Storicismo ottocentesco. Solo nel 1942, con l’edizione curata da Giancarlo Vigorelli per Bompiani, si intraprese una riscoperta dell’opera, complice anche una preziosa recensione di Alberto Moravia (firmata «Pseudo» per via delle leggi razziali) apparsa sulla rivista «Prospettive»:
Il Manzoni non era uno storico, bensì un poeta e un narratore; ma i lettori di oggi gli sono ugualmente grati di avere fatto la ‘sua’ storia. Cioè di avere dato alla sua passione etica anche un’altra faccia, oltre quella che già conoscevamo nei Promessi sposi.
Riferimenti bibliografici
Brancaccio, Antonella, Dal block-notes del ‘regista’ al racconto per immagini dell’«ammirabile traduttore». Manzoni, Gonin e la Quarantana illustrata, in La letteratura italiana e le arti. Atti del XX Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Napoli, 7-10 settembre 2016), a c. di L. Battistini et alii, Roma, Adi editore, 2018. ONLINE
De Blasi, Margherita, Dal romanzo della tortura ai Promessi sposi. Manzoni lettore di Verri, in L’Italianistica oggi: ricerca e didattica, Atti del XIX Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Roma, 9-12 settembre 2015), a c. di B. Alfonzetti et alii, Roma, Adi editore, 2017. ONLINE
Fahy, Conor, Per la stampa dell'edizione definitiva dei Promessi sposi, «Aevum», 3 (1982), pp. 377-394. ONLINE
L’officina dei Promessi sposi, a c. di Fernando Mazzocca, con intervento critico di D. Isella, Milano, Mondadori, 1985. ONLINE
Manzoni, Alessandro, I promessi sposi. Testo del 1840-42, a c. di T. Poggi Salani, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, «Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni», 2, 2013. ONLINE
Manzoni, Alessandro, I promessi sposi. Storia della colonna infame, a c. di S.S. Nigro - E. Paccagnini, Milano, Mondadori («i Meridiani»), 2002. ONLINE
Mazzocca, Fernando, Quale Manzoni? Vicende figurative dei Promessi sposi, Milano, il Saggiatore, 1985. ONLINE
Parenti, Marino, Manzoni editore. Storia di una celebre impresa manzoniana, Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1945. ONLINE
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