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Ippolito Nievo
Le confessioni di un ottuagenario
Il 4 marzo 1861 Ippolito Nievo si imbarca sul piroscafo Ercole diretto a Palermo: la nave non giungerà mai a destinazione, affondando nel Tirreno e portando con sé le ottanta persone a bordo, compreso il giovane scrittore. Il suo romanzo più importante uscirà dunque postumo, solo nel 1867.
Nel 1861, però, Nievo ha già terminato il suo capolavoro, e da ben tre anni. La stesura infatti l’aveva impegnato per soli otto mesi, tra il dicembre 1857 e l’agosto 1858. Le lettere dell’autore ai suoi cari e amici sono una preziosa testimonianza per seguire le fasi di stesura del testo. Iniziata a Milano, dove Nievo si trovava sul finire del ’57, era proseguita a Udine, da dove l’autore così scriveva:
«Come ha da fare il mio romanzo a sbocciare fra questi sussurri [il riferimento, ironico, è alle feste e ai concerti a cui Nievo partecipava assiduamente] – Basta – io lo vo’ allattando segretamente prima di darlo alla luce; e sarà il primo esempio d’un figliuolo che verrà al mondo coi denti».
Trasferitosi poi a Mantova, diceva a Caterina Curti Melzi: «Scrivo un romanzo, in tre volumi almeno, Le Confessioni d’un Italiano, si figuri!». Ancora, la stesura era proseguita assiduamente nella sua casa di campagna di Fossato — «Scrivo notte e giorno» — per terminare infine di nuovo a Mantova, da dove, a metà agosto, poteva affermare con soddisfazione:
«Ieri alla fine ho terminato il mio Romanzo; son proprio contento di riposarmi. Fu una confessione assai lunga.»
Due elementi si ricavano da questi primi dati, come vedremo di grande importanza nelle successive vicende editoriali: innanzitutto la lunghezza del romanzo, tale da occupare ben tre volumi nelle previsioni dell’autore. E poi, il titolo pensato e voluto dall’autore, Le Confessioni d’un Italiano.
Terminata rapidamente l’opera, si poneva però il problema della sua pubblicazione. Nievo procedette per tentativi, cercando di muovere i pochi contatti che aveva: in una lettera del periodo scriveva di essere «in ciarla con qualcuno di Milano», ma non se ne sono trovate conferme; quel che sappiamo è chiese all’amico Fausto Bonò di trovargli un editore, provò poi la mediazione di un altro amico, Pier Ambrogio Curti, per rivolgersi infine a Carlo Tenca: nessuna strada ebbe esito positivo.
Nievo decise dunque di attivarsi personalmente e si recò a Milano, ma dovette scontrarsi subito con una realtà ostile, tanto che scrisse sconsolato alla madre:
«Io son qui ancora per aria, ma mi consoliderò, massime se troverò editori al mio Romanzo, il quale per la sua lunghezza temo li spaventi tutti».
Ecco dunque che la lunghezza del testo si poneva come primo ostacolo alla sua pubblicazione. E però, un impedimento maggiore ostacolava l’avvio dei torchi, e Nievo se ne rese ben presto conto: «Il mio Romanzo non va per ora perché non incontrerebbe alla Censura», scriveva all’amico Arnaldo Fusinato.
E così, nonostante gli sforzi di Nievo, il romanzo non vedrà la luce prima della sua morte. Ma anche il percorso che portò alla pubblicazione dell’opera dopo la scomparsa dell’autore non fu facile.
Innanzitutto, quando gli eredi di Nievo si attivarono per stampare il romanzo presso l’editore Sonzogno ricevettero un secco rifiuto. Nel 1866 qualcosa sembrò però muoversi, ed uscì in rivista un piccolo frammento delle Confessioni (sulla «Nuova Antologia», V fascicolo del secondo volume) intitolato Venezia nel 1797.
Ma fu solo nel 1867 che l’opera poté finalmente essere stampata nella sua interezza; l’impresa si deve alla determinazione e alle cure di Erminia Fuà Fusinato, moglie di Arnaldo Fusinato, che sottopose con tenacia il manoscritto all’editore Le Monnier, che infine accettò, ma a due condizioni:
· l’opera sarebbe stata divisa in due volumi, e non tre come pensato da Nievo;
· il titolo sarebbe stato mutato in Confessioni d’un Ottuagenario, per evitare che il pubblico dei lettori potesse pensare di trovarsi dinnanzi a «una pappolata politica».
Le modifiche al progetto originario dell’autore non finirono però qui: la stessa Fuà Fusinato, secondo una prassi diffusa al tempo, non si limitò a correggere errori grammaticali e refusi, ma introdusse anche «rimaneggiamenti di natura lessicale, grammaticale e sintattica, nonché sostituzioni di parole che le parvero eccessivamente realistiche o audaci» (Gorra, 1981, p. 1075). E non diversa sorte toccò al testo uscito nella seconda edizione del 1899 presso Treves, curato da Dino Mantovani: persuaso che il romanzo fosse «un portento di furia creatrice» steso di getto da Nievo senza successive revisioni, intervenne pesantemente rimaneggiando il testo.
Gli interventi indebiti della Fuà Fusinato e di Mantovani vennero rilevati da Ferdinando Palazzi nell’appendice del romanzo di Nievo uscito per i Treves nel 1931: l’editore, pur ripristinando il titolo originario Confessioni di un Italiano, non mancò a sua volta di introdurre modifiche non secondarie, come il mutamento in -o della prima singolare dell’imperfetto, laddove il manoscritto recava regolarmente -a.
Solo nel 1952, con l’edizione Ricciardi curata da Sergio Romagnoli attenendosi fedelmente al manoscritto, fu possibile leggere il romanzo nella sua veste linguistica originale. L’edizione Ricciardi fece scuola e ad essa si uniformarono anche le successive, essendo poi migliorata solo da quella di Marcella Gorra, assidua studiosa di Nievo e curatrice del Meridiano dedicato alle Confessioni.
«l’unico romanzo italiano dell’Ottocento dotato d’un fascino romanzesco paragonabile a quello che si ritrova con tanta abbondanza nelle letterature straniere» Italo Calvino
Secondo questo iter tortuoso il capolavoro di Nievo entrò a pieno titolo nella storia della letteratura italiana. Calvino, molti anni dopo, poté affermare senza esitazioni che le Confessioni costituivano «l’unico romanzo italiano dell’Ottocento dotato d’un fascino romanzesco paragonabile a quello che si ritrova con tanta abbondanza nelle letterature straniere», e rivelando la diretta dipendenza di alcuni episodi dei suoi romanzi dal capolavoro nieviano: «Un episodio del mio primo romanzo I sentieri dei nidi di ragno s'ispira all’incontro di Carlino e di Spaccafumo. Una vaga atmosfera del castello di Fratta è evocata nel Visconte dimezzato. E Il barone rampante ricalca il romanzo di Nievo nell’arco di una vita che copre lo stesso periodo storico tra Sette e Ottocento e gli stessi ambienti sociali; per di più, il personaggio femminile ha per modello la Pisana» (intervista rilasciata a Maria Corti contenuta in Nozzoli p. 36).
Descrizione fisica e collazione
Edizione originale: Firenze, Le Monnier, 1867. — 2 volumi in 8°, pp. [4] XVIII 498; [4] 596. — I margini circa 180 x 120 mm.
Nelle immagini un’esemplare rilegato in mezza pelle, con le brossure originali conservate, a margini quasi intonsi. Raro in queste condizioni.
Bibliografia essenziale
Ippolito Nievo, Le Confessioni d’un italiano, a cura di M. Gorra, Mondadori, Milano, 1981 nella collana «I Meridiani» (introduce varianti rispetto all’edizione Ricciardi a cura di S. Romagnoli)
Ippolito Nievo, Le Confessioni d’un italiano, a cura di S. Romagnoli con illustrazioni di G. Zigaina, Marsilio, Venezia, 1990 (edizione condotta sull’autografo, ripristina i criteri dell’edizione Ricciardi con una maggiore conservazione delle abitudini grafiche interpuntive e morfologiche dell’autore)
Anna Nozzoli, Immagini di Nievo nel Novecento, Modena, Mucchi, 1995
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